Raffaello Sanzio

La pittura di Raffaello Sanzio ha seguito, cronologicamente, il percorso di rinnovamento che aveva avuto inizio con Leonardo ed era proseguito con Michelangelo, ma nonostante il pesante fardello dei suoi predecessori, egli è riuscito ad imporsi con egual, se non maggiore forza. Egli svolse un ruolo decisivo nella magica parabola artistica che, all’inizio del XVI secolo, vide Roma come palcoscenico della massima fioritura rinascimentale.

La sua arte ha attraversato le tre dimensioni del tempo, dialogando con il passato, in particolare con Piero della Francesca e Perugino, con il presente, ispirandosi alla grande pittura del suo tempo, e con il futuro, imponendosi come modello nelle accademie fino alla prima metà dell’800, e influenzando lo stile di alcuni dei più importanti pittori del ‘900, tra cui Giorgio De Chirico.

BIOGRAFIA

Raffaello Sanzio nasce ad Urbino nel 1483. Rimase orfano di madre ed ereditò la bottega del padre, Giovanni Santi, pittore non molto affermato: nello studio del padre apprese i rudimenti del disegno e delle tecniche artistiche, come l’affresco.

Per il giovane Raffaello fu significativo trascorrere la giovinezza ad Urbino, in quanto rappresentava uno dei centri culturali più attivi del Rinascimento: ebbe modo di studiare le opere di Piero della Francesco, Antonio del Pollaiolo, Luciano Laurana, ed altri artisti che la città marchigiana aveva ospitato.

In seguito alla morte del padre, intorno al 1497, fu avviato alla bottega del Perugino, lavorando nella realizzazione di diverse opere del maestro. Fu nel 1499 che iniziò a ricevere le prime commissioni, prevalentemente per la realizzazione di soggetti religiosi che resero Raffaello famoso in tutta l’Umbria.

Dopo aver soggiornato a Siena, sotto invito del Pinturicchio, nel 1504 giunse a Firenze nel momento in cui Leonardo e Michelangelo stavano lavorando rispettivamente alla “Battaglia di Cascina” e la “Battaglia di Anghiari” per la Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Vecchio. Nel fervente clima artistico fiorentino, Raffaello strinse rapporti d’amicizia con altri artisti di grande fama ed approfondì lo studio dei modelli quattrocenteschi; le commissioni dell’epoca erano soprattutto per committenti privati.

Nel 1507 giunse a Roma. Sulle circostanze della sua chiamata in città permane l’incertezza, ma le fonti attribuiscono la causa del trasferimento alla mediazione di Donato Bramante, al tempo già impegnato nella ricostruzione della Basilica di San Pietro.

Nella capitale, oltre ad aver realizzato ritratti per i papi e per importanti committenti privati, affiancò una squadra di pittori provenienti da tutta Italia per la decorazione dei nuovi appartamenti papali; le sue prime prove piacquero talmente tanto che papa Giulio II, e poi Leone X, gli affidarono l’intero progetto.

Per far fronte alla sua crescita di popolarità, Raffaello, a soli trent’anni, mise su una grande bottega, strutturata come una vera e propria impresa; con il passare del tempo, la quasi totalità dei lavori del pittore vide un contributo sempre maggiore degli allievi, mentre la preparazione dei bozzetti era a panneggio del maestro. Tra i suoi allievi, il più conosciuto fu Giulio Romano, pittore della famiglia Gonzaga di Mantova e massimo esponente del manierismo italiano.

Come un vero artista del Rinascimento, Raffaello si dedicò anche all’architettura, progettando diversi palazzi e ville, come Villa Madama, e partecipò attivamente al cantiere di San Pietro, contribuendo a ripristinare il corpo longitudinale della basilica.

Raffaello morì prematuramente nel 1520, lasciando un grande vuoto nel panorama artistico romano.

LA GRANDEZZA DELL’“ULTIMO”

«Ille hic est Raphael timuit quo sospite vinci, rerum magna parens et moriente mori»

Qui giace Raffaello: da lui, quando visse, la natura temette d’essere vinta, ora che egli è morto, teme di morire.

Recita così l’epitaffio sulla tomba di Raffaello, composto dallo scrittore Pietro Bembo per celebrare la grandezza di un’artista in grado di emergere dalla moltitudine di geni a lui contemporanei e che è stato in grado di dare vita ad uno stile “eterno” che influenzerà l’arte fino al XX secolo.  

Il suo linguaggio pittorico si base sui principi di bellezza e armonia, persino negli anni della sua produzione più tarda, già anticipatrice della svolta manierista.

In primo luogo, i suoi interessi furono rivolti all’antichità, non soltanto nella scelta di ispirarsi alle composizioni di Piero della Francesca o del Perugino, ma anche alla volontà di rifarsi all’armonia, alla semplicità e alla raffinatezza del passato.

Emblema dalla sua fase giovanile è la tavola dello “Sposalizio della Vergine” del 1504, conservata alla Pinacoteca di Brera. Si tratta di una pala che prende a modello un prototipo del Perugino, da cui, però, già Raffaello si allontana. Di rilevanza estrema è la prospettiva della scena, perfettamente studiata, che da’ la possibilità di constatare la distanza tra i soggetti in prima piano e la struttura architettonica alle spalle. Rispetto al suo maestro, Raffaello distribuisce le figure lungo la direttrice che dal primo piano conduce al tempio sullo sfondo: quest’ultimo si ispira alla recente costruzione di Donato Bramante del Tempietto di San Pietro in Montorio, realizzato nel 1502. Anche gli stessi personaggi mostrano una naturalezza maggiore nei gesti e nei movimenti.

Raffaello fece anche tesoro dei contributi dei suoi contemporanei: Leonardo, in primis e, in una fase successiva, anche Michelangelo. Da Leonardo riprende l’interessa per lo studio della ritrattistica, alla quale si dedicò per tutta la vita: fu a Firenze che gli vennero commissionati i primi ritratti, come il “Ritratto di Maddalena Doni” del 1506, oggi a Palazzo Pitti.

L’impostazione di tre quarti è chiaramente quella definita da Leonardo per la “Gioconda”, ma la linea di Raffaello è ferma, decisa e la figura è nettamente separata dallo spazio circostante.

Tra gli altri ritratti a lui commissionati, ricordiamo quelli dei pontefici Giulio II della Rovere e Leone X.

Nel primo, Raffaello si sofferma sulla componente psicologica del soggetto: il volto del pontefice, noto come “il papa guerriero”, reca i segni indelebili della fatica e della tensione che l’esercizio del ruolo comporta, mentre le mani vigorose evidenziano operosità e desiderio di azione.

Nel caso di Leone X, invece, scegli una forma di ritratto meno psicologica e più orientata a declinare un progetto politico e di successione: insieme al pontefice sono, infatti, ritratti anche i suoi due nipoti Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi, secondo un modello tipico della pittura del Nord Europa.

A Firenze si dedicò anche alla produzione di opere devozionali di destinazione privata che rivelano una piena derivazione degli studi leonardeschi di gruppi piramidali, come la “Vergine delle Rocce” o “Sant’Anna, la Vergine e il Bambino e l’agnello”.

Tra le composizioni di Raffello ricordiamo la “Madonna del Cardellino”, oggi agli Uffizi, in cui l’artista sfrutta la composizione piramidale leonardesca, ma non per “aprire” il gruppo al paesaggio, bensì per delinearlo e chiuderlo come un corpo compatto.

Ma è Roma che la fama del pittore viene ufficialmente sancita. La grandiosa decorazione degli appartamenti di Giulio II, noti come le Stanze di Raffaello, fu frutto di un lavoro di collaborazione tra Raffaello e la bottega di artisti di cui disponeva.

Le Stanze comprendono quattro ambienti ognuno caratterizzato da un tema differente: la Stanza della Segnatura presenta come tema dominante l’esaltazione del bello, del buono e del vero; la Stanza di Eliodoro gli interventi di Dio in favore della Chiesa; la Stanza dell’Incendio di Borgo celebra il nuovo papa committente Leone X; la Stanza di Costantino racconta la Chiesa attraverso le azioni di Costantino.

L’opera di decorazione costò più di dieci anni di lavoro, che si protrasse anche dopo la morte del maestro e, soprattutto, subì l’influenza dell’arte di Michelangelo, che, in quegli anni, svelò la volta della Cappella Sistina.

Negli ultimi anni della sua vita, Raffaello iniziò a mostrare i primi segni di quella sofferenza esistenziale che travolgerà il continente Occidentale negli anni seguenti e sfocerà nel Manierismo.

Sua ultima opera è la “Trasfigurazione” realizzata tra il 1518 e il 1520, oggi alla Pinacoteca Vaticana: la contrapposizione delle fonti di luce, la violenza espressa dalle figure in basso rendono l’opera carica di pathos, un autentico concentrato di movimento e di passione. Soprattutto la parte inferiore sinistra rivela la maturazione di uno stile personalissimo che attinge alla rappresentazione degli effetti di Leonardo, ma li rinnova.

RAFFAELLO DE SANTI: LA VERA PERSONALITA’ 

Raffaello è ricordato da tutti i biografi come bello, ricco e genio fin da bambino. Da un punto di vista caratteriale viene descritto come dotato di grazia, gentile e affabile, adorato da uomini e donne, benvoluto dai ricchi signori, dagli alti prelati e dalla semplice gente del popolo. Egli era l’emblema della perfezione ed essendo morto anche il giorno del Venerdì Santo del 1520, alcuni suoi contemporanei lo identificarono addirittura come la reincarnazione di Cristo stesso.

Accanto all’immagine idealizzata del divino Raffaello, però, sono emerse descrizioni più umane e più vicine all’uomo comune. Oltre ad amare la bellezza idealizzata e divina, infatti, sembra che Raffaello amasse anche quella terrena e carnale delle donne.

Lo stesso Vasari racconta come la morte di Raffaello fosse sopraggiunta dopo due settimane di malattia, caratterizzata da una forte febbre, che sembra essere stata causata dagli eccessi di lussuria di una sola notte.

Ma come tutti i grandi vissuti prima del nostro tempo, non potremmo mai essere certi della sua reale natura. Quello che è noto è che la mano divina di Raffaello ha contribuito a rendere Roma, e l’Italia in generale, un luogo di bellezza e perfezione.  

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