OLAFUR ELIASSON

Attuale protagonista nella scena internazionale dell’arte contemporanea, Olafur Eliasson si distingue quale mente creatrice di esperienze artistiche anticonvenzionali nonché attivo promotore di ecologia e sostenibilità; Il suo carattere si presenta poliedrico al pari delle sue imponenti installazioni riflettendo ad ogni lato un approccio alla vita trasversale e multiculturale.

La sua arte si fa immersiva, trascendentale: questa si pone l’obiettivo di sensibilizzare il pubblico più vario a temi legati all’ambiente e alla sua salvaguardia attraverso lo stabilirsi di un legame percettivo tra osservatore ed oggetto.

UN “ARTIVISTA” PER L’AMBIENTE

Copenaghen è la città d’origine dell’artista: quì nato nel 1967, matura la propria cifra stilistica crescendo nella natura incontaminata dei luoghi immersivi d’Islanda e Danimarca.

Studia presso la Royal Danish Academy of Fine Arts e nel 1995 fonda a Berlino il suo grande studio multidisciplinare, una vera e propria “Factory” in cui prendono forma le sue idee: i lavori realizzati spaziano dal design product alle installazioni di portata monumentale e gli consentono di esporre nei più importanti musei e spazi pubblici, ottenedo onorificenze per il suo contributo all’arte internazionale.

Ad affiancarlo nella sperimentazione dei materiali, nella costruzione dei vari modelli e delle strutture delle opere un numeroso team di architetti, artigiani, storici dell’arte, archivisti, tecnici scientifici e programmatori.

Il cuore pulsante dell’arte di Eliasson batte seguendo tre importanti tematiche di riferimento: dalla geometria – da intendersi come lo studio e la misurazione delle forme el mondo che ci circonda – all’utilizzo della Luce, elemento sfuggente ed inafferrabile che tutto delinea e crea, da ritenersi fondamentale nella nostra percezione del mondo. Ad essi si aggiunge l’attenzione per la natura ed il costante impegno per l’ambiente che si rivela il filo conduttore di ogni suo progetto.

I lavori di Eliasson sono frutto di una profonda conoscenza della fisica e della tecnologia: costruisce dei dispositivi, ricorrendo alla tecnologia semplice e ad intuizioni quotidiane, per riproporre la potenza degli elementi naturali o produrre determinati fenomeni percettivi così da permettere all’osservatore di andare oltre l’atto del vedere ma di essere parte integrante di una esperienza fisicamente percorribile. Nelle sue installazioni la tecnologia sembra mettersi a servizio della natura per suscitare in chi osserva una maggiore sensibilità nei confronti della sua fragile condizione.

Visitare una sua mostra, percorrere una sua installazione, partecipare ad una sua azione diventa così un’esperienza diretta – vissuta in modalità analogica e mai virtuale – ricca di sensazioni comuni ma, al contempo, legate all’individualità di ciascuno.

“Uso gli elementi naturali in vari modi. In particolare cerco di rendere la questione climatica tangibile. Sappiamo tutti che il problema esiste ma non agiamo di conseguenza. Perché persiste ancora questa discrepanza?”

Ad aver stregato milioni di visitatori è “The Weather Project” del 2003 in cui l’artista “intrappola” il sole in uno spazio di 155 metri di lunghezza e 23 di altezza, all’interno della Tate Modern di Londra.

Un grosso pannello semicircolare retroilluminato con 200 lampade di sodio a bassa pressione viene utilizzato per ottenere la luce tipica del tramonto e il soffitto della sala viene ricoperto di dispositivi riflettenti in grado di raddoppiare la superficie illuminante e la percezione del volume dell’ambiente. In quello spazio l’artista inserisce poi delle macchine create ed installate appositamente per produrre vapore acqueo e banchi di nebbia: l’effetto è quello di assistere ad un grande tramonto al chiuso.

La sala viene inondata di una luce forte e densa dando la sensazione di attraversare uno spazio ultraterreno che permette ad ogni visitatore di sperimentare, camminando, fermandosi, sdraiandosi sul pavimento, diventando parte integrante e attiva dell’opera.

La sua visione artistica, dunque, ruota attorno al rapporto che intercorre tra arte, natura e fenomeni atmosferici, ed include in se un interesse per le persone che sono chiamate ad agire da protagonisti all’interno dell’opera, non limitandosi alla condizione di spettatori passivi. L’artista ritiene che avvicinare le persone ai temi legati all’ambiente facendo leva sulla loro emotività sia il modo più efficace di sollecitare in loro atteggiamenti etici ed abitudini ecosostenibili.

Il fulcro dell’opera di Eliasson non è dunque creare ad opere ECO ma affinare il comportamento delle persone nei confronti dell’ambiente, proponendo strumenti cognitivi ed intellettuali per riflettere il modo in cui ognuno si relaziona con il mondo.

“Dobbiamo riconoscere che insieme abbiamo il potere di intraprendere azioni individuali e di spingere per un cambiamento sistemico. Trasformiamo le conoscenze sul clima in azioni per il clima.”

I suoi progetti trascendono i limiti espositivi dati dal museo: anche quando lavora in spazi convenzionali, tende a modificare gli ambienti abbattendo muri, fondendo l’interno con l’esterno.

Le sue opere, realizzate in spazi pubblici, strade e piazze, possono essere largamente definite come progetti più che come opere d’arte in senso stretto: esse coinvolgono la collettività in maniera attiva e costituiscono dunque delle vere e proprie azioni alle quali ogni individuo è chiamato.

TECNOLOGIA A SERVIZIO DELLA NATURA: LE OPERE

Ad aver reso celebre Olafur Eliasson sono i progetti su larga scala – i cosiddetti “Size specific” – lavori coinvolgenti ed immersivi in cui lo spettatore è il vero creatore del significato finale dell’opera mentre l’artista si limita ad essere soltanto un tecnico, un “operatore di macchina”.

A descrizione di tali opere di cui il visitatore fa esperienza percettiva e sensoriale l’artista ha coniato la formula “Seeing yourself sensing”; tra queste impossibile non citare “Riverbed” del 2014, un vero e proprio paesaggio fluviale creato all’interno delle sale del Louisiana museum of modern art di Copenaghen, che vede l’alternarsi del movimento delle persone a quello dell’acqua di un ruscello quale significazione dell’opera stessa.

L’ambiente è ispirato ad un fiume irlandese e viene ricreato con rocce naturali di basalto e di lava, ambiente in cui lo spettatore è tenuto a compiere uno sforzo per poter risalire il percorso del ruscello.

L’Acqua è al centro di molti altri lavori dell’artista, tra questi “Waterfall” del 2016  che consiste in un’altissima imponente cascata che sembra materializzarsi improvvisamente al centro dei giardini di Versailles, ispirata ad un progetto mai realizzato di André Le Nôtre, giardiniere capo di Luigi XIV.

Precedentemente a quest’opera ed esattamente nel 2008, l’artista costruisce per The New York City Waterfalls quattro grandi cascate artificiali lungo le rive di Manhattan e Brooklyn riproducendo i paesaggi incontaminati dell’Islanda che frequentava nella sua infanzia e che oggi sono a rischio a causa del cambiamento climatico. L’impatto della cascata fa riflettere anche sul rapporto architettura e natura, rende visibile l’imponente intervento umano e la fragilità dell’ambiente.

Insieme all’acqua, la luce diventa oggetto della sua riflessione artistica in quanto elemento in grado di proporsi come forma pura o oggetto architettonico ed iniziare una diretta comunicazione col corpo ed il cervello: così accade in “The exploitation of the center of the Sun” del 2017 in cui macchie di luci ed ombre vengono proiettate nella stanza da una forma simile ad un poliedro asimmetrico che pende dal soffitto.

Lo spettatore è chiamato ad osservare, muoversi, scorgere i diversi colori che prendono vita nell’ambiente.

“Io che mi preoccupo dell’ambiente, nel mio piccolo cerco di attivare una sorta di movimento che dall’oggetto arriva al grande pubblico e il design è il giusto driver “

Talvolta a guidare i suoi progetti sono le tematiche sociali: nel 2012 disegna e realizza “Little Sun”, una lampada a led alimentata ad energia solare creata per garantire l’accesso a luce ed elettricità a coloro che vivono nelle piccole comunità rurali in Africa, Asia e Sud America.

Sensibilizzare il pubblico a tali tematiche sembra essere il mantra di questo encomiabile artista contemporaneo che, pur sottolineando in maniera decisa la sua posizione contro la mancata presa di presa di posizione da parte della collettività non rinuncia al bello e all’emozionalità per invitarla a farlo servendosi sapientemente della propria creatività per arrivare al pensiero comune e generare in esso un mutamento, oggi più che mai dovuto: una intensa dimostrazione di come l’arte, ferma ed eterna, possa essere il motore in grado di sollecitare – ed abituare -ad una condotta maggiormente virtuosa ed ecosostenibile.

A cura di: Maria Nunzia Geraci

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