My Bed – Tracey Emin

Sofferenza che diventa arte

Bastano queste poche parole per raccontare a pieno l’istallazione del 1998 dell’artista inglese Tracey Emin: l’opera fu esposta per la prima volta a Tokyo e venduta per 150 mila sterline; successivamente fu presentata alla Tate Britain di Londra nel 1999, in seguito alla nomina dell’artista al Turner price; è stata poi riproposta nel 2015 con un nuovo allestimento, nella medesima galleria.

L’artista Tracey Emin e l’istallazione My Bed presso la Tate Britain di Londra.

Come vediamo, si tratta di un’opera che ha attraversato il corso della storia dell’arte contemporanea, dagli anni ’90 fino ad oggi, suscitando, in ogni contesto di esposizione, il medesimo scalpore: si tratta di un’istallazione inserita in una stanza vuota, in cui un letto matrimoniale disfatto si impone nello spazio sterile, raccogliendo intorno a sé oggetti di varia natura, tra cui biancheria intima, bottiglie di vodka, preservativi usati, pillole anticoncezionale e mozziconi di sigarette.  

Dettagli dell’istallazione My Bed.

L’opera in sé può essere tranquillamente considerata un ready-made del XX secolo, in cui oggetti svariati presi da contesti poco canonici all’arte diventano parte integrante dell’istallazione e vengono proiettati nello spazio artistico per eccellenza, ovvero la galleria. 

Soltanto considerando questo aspetto, l’opera della Emin risulta già fortemente provocatoria, in quanto presenta al visitatore degli elementi che sono parte della sua vita quotidiana e li spoglia della loro funzione iniziale per renderli, appunto, arte. Tale punto di vista viene reso ancora più forte dalla scelta dell’artista di abbattere il ‘muro’ asettico dei ready-made duchampiani, in favore di una narrazione personale, viscerale e profondamente legata al modo stesso in cui l’artista vive l’arte.

Ma cosa racconta davvero quest’opera?

È la stessa artista a parlarne in un’intervista rilasciata nel 2015, a seguito del riallestimento di My Bed a Londra:

“Nel 1998 mi lasciai con il mio compagno e trascorsi quattro giorni a letto, a dormire, in uno stato di semi incoscienza. Quando mi svegliai, mi alzai e vivi tutto il caos che si era ammassato dentro e fuori dalle lenzuola.”

Si tratta, quindi, di un’opera nata da una vicenda personale che aveva segnato profondamente l’esistenza della Emin, costringendola addirittura a fermare la sua vita per alcuni giorni. In base a questo, trasformare quel ricordo doloroso in arte ha una funzione del tutto esorcizzante, nonché mira ad incapsulare nella memoria un momento del passato dell’artista, destinato ad essere eterno.   

Questo impianto fortemente autobiografico non era nuovo nelle opere dell’artista: ella era già conosciuta in Europa per le sue opere di arte contemporanea che spaziavano dalla pittura, alla neon art e si collocavano in una zona intermedia tra il desiderio carnale e una forma di dolore profondo, in una chiave di lettura che era sempre soggettiva e privata. Questo non stupisce considerando il passato della Emin: la sua fu un’esistenza segnata dalla povertà e dalla violenza (fu purtroppo stuprata a soli 13 anni) e solo l’arte riuscì a riscattare la sua vita.

Nel caso dell’allestimento del 2015, l’entità personalizzante dell’opera viene maggiormente accentuata da diverse scelte curatoriali fatte proprio dalla Emin che, non solo resero lo spazio genale più suggestivo, ma in un certo senso suggeriscono il riscatto esistenziale a cui si accennava.

Innanzitutto, la sala nella quale fu inserita l’installazione fu allestita con alcune pitture di Francis Bacon, un artista di inizio ‘900 conosciuto soprattutto per la brutalità e la crudezza delle sue raffigurazioni, e alcuni disegni della stessa Emin. Entrambi i registri iconografici hanno funzione di rappresentare l’assetto caotico su cui si sviluppa l’opera e di assecondarne il movimento, il disordine e lo scompiglio che, non è solo esteriore, ma è sintomatico di un malessere interiore.

I nuovi soggetti raffigurati nei disegni della Emin, però, non sono una trasposizione di quello stato d’animo, bensì sono individui capaci di uscire dallo spazio di quel letto, di trovare nuova vitalità al di fuori di quella capsula temporale, ma lo fanno comunque in un nuovo caos, in quel disordine naturale che è proprio della vita, proprio come fa la Tracey Emin del presente.

Articolo a cura di Giuliana Di Martino

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