
Damien Hirst
A dominare la scena artistica britannica sin dagli anni ’90 è Damien Hirst, personaggio controverso ed innovatore, la cui arte di radice minimalista ed informale si erge a portatrice di interrogativi umani sull’esistenza e sulle prospettive umane della mortalità.
E’ il 1988 l’anno in cui Hirst, all’età di 23 anni, organizza una mostra dal titolo Freeze in un’area dismessa di Londra: da qui ha inizio per l’artista un percorso che lo porterà a fondare il movimento dei YBAs (Young British Artists), un gruppo di visual artists londinesi, nati a metà degli anni ’60, la cui produzione si caratterizza per le cosiddette “tattiche shock”, per l’uso di materiali di recupero, per le vite personali sregolate ed i contenuti controversi e coinvolgenti delle loro esibizioni.
Il salto di qualità di Damien Hirst è da individuarsi nelle tematiche su cui è incentrata la sua arte: il tema della MORTE – da non intendersi come un qualcosa di macabro bensì come celebrazione della vita – domina gran parte della sua produzione che se da un lato ha indignato e fatto scalpore tra gli spettatori increduli, dall’altro gli ha permesso di diventare uno degli artisti viventi più quotati (fino a 70 milioni di dollari), in grado di coinvolgere chi osserva in intense riflessioni sulla caducità del corpo e della vita.

«E’ incredibile dove si possa arrivare con un 4 in arte, un’immaginazione bacata e una sega elettrica»
L’opera considerata manifesto della sua ideologia è “The Physical Impossibility of Death In the Mind of Someone Living” – L’impossibilità fisica della morte nella mente di un essere vivente, meglio nota come “lo Squalo”; Realizzata nel 1991, consiste in uno squalo tigre di oltre 4 metri posto in 1000 litri di formaldeide dentro una teca -che richiama il minimalismo di Donald Judd – venduta a 12 milioni di dollari.
Pare che l’artista abbia acquistato l’animale da un pescatore australiano, facendoselo recapitare direttamente a casa!
Come in questo caso, gran parte delle sue opere hanno spesso ad oggetto animali imbalsamati, in alcuni casi sezionati e conservati in formaldeide. Tra questi anche “In the Out of Love” realizzato sacrificando circa 9000 farfalle. Tali progetti hanno scatenato l’indignazione dei movimenti animalisti che accusano l’artista di utilizzare gli animali come oggetti di spettacolo in una visione antropocentrica della vita.

«Vivere nella società tentando di non guardare la morte è stupido perché guardarla ci fa ritornare alla vita con maggior vigore ed energia. Il fatto che i fiori non durino per sempre è ciò che li rende belli»
Il punto da cui partire per comprendere a pieno la concettualità delle sue opere è il guardare alla morte attraverso una diversa lente interpretativa, considerando la medicina, la religione, la procrezione o l’esaltazione della materialità come strumenti in grado di esorcizzare la stessa. I Farmaci che curano dalla possibilità della morte e le Farfalle che fungono da perfetto simbolo di caducità con la loro brevissima vita, oltre che gli animali imbalsamati e “fermati nel tempo” sono i soggetti che Hirst utilizza per esperire la propria ideologia.
Talvolta trasgressive, irritanti e “poco educative”, le sue opere sono in grado di stabilire un livello di comunicazione immediata con lo spettatore. “Lullaby Spring” si estende per circa 3 metri ed è realizzata con delle lucidissime mensole d’acciaio su cui sono posate delle pillole, riprodotte numerate ed allestite in modo minimalista.
Anche “For the Love of God” si focalizza sul tema della morte: consiste in un teschio umano ricoperto di 8.601 diamanti costato 14 milioni di sterline e venduto per 50 milioni.

La carriera di Damien Hirst, più che trentennale, si lega dunque ad uno stile informale ed abbraccia i fondamentali dell’action painting e della pop art. Ha sviluppato la tecnica definita “Spin painting”, consistente nel dipingere su una superficie circolare in rotazione e si è dedicato alla creazione degli “Spot paintings” ovvero sia delle serie di punti colorati dipinti con vernice industriale su fondo bianco, tutti equidistanti l’uno dall’altro. Questi hanno contribuito ad ispirare la grafica pubblicitaria degli ultimi anni.
Le sue mostre sono considerate dei veri e propri eventi sia per l’eco della stampa che per la presenza di celebrità; Hirst adatta alla sua arte il concetto Pret- à – porter, già sfruttato nell’ambito della moda, in base al quale non è concessa la vendita di alcune opere ma l’acquirente può portare a casa alcuni esemplari ispirati al modello originale.
Pur non avendo privilegiato spesso la pittura, nel 2021 l’artista ha realizzato una serie di tele di 107 pezzi con fiori di ciliegio in fiore, ispirata al puntinismo e all’espressionismo: anche se evitata, la storia d’amore con la pittura- dice Hirst- è perdurata tutta la vita.

«La grande arte – o la buona arte – è quella che, quando la guardi e ne fai esperienza, ti rimane nella mente. Non penso che l’arte concettuale e l’arte tradizionale siano così diverse. C’è arte concettuale noiosa e arte tradizionale noiosa. La grande arte è quella che non ti fa smettere di pensare, dopodiché diventa memoria»