
ARAKI NOBUYOSHI
IL FOTOGRAFO DELL’EROS
È stato definito “il fotografo più prolifico di sempre”, con i suoi 350 libri pubblicati nel corso della sua carriera. Parliamo di Araki Nobuyoshi, artista giapponese che ha sbalordito il mondo, mostrando il sesso nella sua forma più cruda.
Nato Tokyo nel 1940, studiò fotografia e cinema presso la Chiba University; lavorò nel settore pubblicitario, collaborando con l’agenzia pubblicitaria Dentus fino agli anni ’70, quando si dedicò alla carriera da libero professionista.
Il successo del fotografo si lega indissolubilmente all’industria del sesso, della quale testimoniò ogni aspetto. Oltre a raccolte fotografiche dedicate al tema, l’artista ha lavorato anche per diverse riviste, tra le quali Playboy, Déjà-Vu ed Erotic Housewife; ha esposto in mostre personali a Parigi, Tokyo, Londra, Roma ed altre capitali dell’arte contemporanea.
ISTANTANEE DI PROVOCAZIONE
Le polaroid di Araky Nobuyoshi profumano di verità, lussuria e malinconia; banchi e neri e pellicole ritoccate a mano che esplorano iconfini tra il sacro e il profano.
Con un modo di fare irriverente ed uno stile fotografico riconoscibile, Araki ha saputo rappresentare in modo unico l’erotismo della caotica Tokyo.
Inizialmente, focalizzò l’attenzione su Kabukicho, storico quartiere a luci rosse di Shinjuku, le cui testimonianza sono raccolte nella pubblicazione Tokyo Luchy hole, risalente al biennio 1983-1985.
Le immagini ritraggono prevalentemente donne, in scenari in bilico tra il pornografico e l’accettabilità. Dei suoi soggetti prediletti, Araki ha detto:
“Le donne mi interessano perché sono misteriose e perfide. A volte sono madonne, a volte sono prostitute. Con i loro aspetti complessi non mi annoiano mai”
I corpi femminili si mostrano allo spettatore senza inibizioni o censure, perfettamente consce della loro bellezza. Come nuove Messaline, i soggetti femminili si presentano legate con delle corde in stile Kinbaku, appese ai soffitti o ritratte in camere d’albergo.
È facile comprendere i motivi dei suoi frequenti arresti: fu spesso denunciato per oscenità, medesima accusa che costò al direttore di un museo che espose le sue fotografie.


La sensualità delle figure, però, riporta la mente dello spettatore al passato. Come sprazzi di memoria, le pose accattivanti delle prostitute di Tokyo ricordano volti noti della pittura.
Gli sguardi catturati da Araki rivelano un richiamo alle Veneri dell’antichità: dalla sensuale e delicata Venere di Urbino di Tiziano, alla sfacciata Olympia di Manet. Tutte queste donne, libere nella loro nudità, attraversano la storia su un unico filo rosso che, prima, veniva dipinto, adesso è estratto direttamente dalla realtà.


Diretto è il richiamo al Realismo magico degli anni ’30 dal quale il fotografo riprende le ambientazioni: si tratta di scenari sospesi nel tempo, quasi luoghi della fantasia perversa dell’artista. A ciascuno di questi spazi, però, Araki restituisce dignità, mostrando il fascino e la spontaneità dell’erotismo che è vario e soggettivo, ma parte integrante della vita di ognuno.


IL SOGGETTO PREDILETTO
La parabola artistica di Araki, però, non si esaurisce nel racconto dell’industria del sesso giapponese, ma racconta di sé, in particolare dell’amore della sua vita.
Durante l’impiego da pubblicitario, Araki conobbe Yoko, sua futura moglie, nonché la donna destinata ad essere la sua musa per molti anni.
A lei dedicò diverse raccolte fotografiche, legate a momenti precisi della loro vita coniugale. La prima risale al 1971: in Sentimental journey il fotografo compie una narrazione visiva del loro viaggio di nozze, catturando momenti semplici, intimi e talvolta banali.

Questi scatti in bianco e nero raccontano l’alba del loro amore, in cui si manifesta una nuova forma di passione, non più semplicemente quella erotica, ma quella della quotidianità e della presenza reciproca.
Purtroppo, il loro viaggio terminò precocemente. Yoko morì nel 1990, a causa di un tumore alle ovaie. Ancora una volta, Araki scelse di immortalare gli ultimi giorni della vita della moglie, riunendo gli scatti nella raccolta Winter Journey.
Riproponendo il lessico della quotidianità già presente nella prima pubblicazione, il fotografo racconta la malattia come un punto di predestinazione, un obiettivo a cui si è certi di giungere. Araki guarda la morte con occhi disincantati, mostrando soltanto l’incanto dell’amore per Yoko.


La sofferenza fisica di Yoko, lampante sul suo volto scavato, viene esorcizzata da quell’occhio dietro l’obiettivo, che continua a guardarla con la stessa dolcezza e lo stesso affetto di sempre.
Giuliana Di Martino